Oh, sii una ragazza gentile, baciami!



Anche se dal titolo può sembrare strano parliamo di ...stelle!
La classificazione stellare è generalmente basata sulla temperatura superficiale delle stelle, che può essere stimata mediante la Legge di Wien a partire dalla loro emissione luminosa.
Il vecchio schema di classificazione stellare, risalente all'Ottocento, attribuiva una lettera alle diverse tipologie di stelle: dalla A alla P. Il sistema di classificazione moderno ha mantenuto e riordinato alcune delle lettere della vecchia classificazione e oggi le lettere usate sono:

  • * O: 30.000 - 60.000 K stelle blu
  • * B: 10.000 - 30.000 K stelle blu-bianche
  • * A: 7.500 - 10.000 K stelle bianche
  • * F: 6.000 - 7.500 K stelle giallo-bianche
  • * G: 5.000 - 6.000 K stelle gialle (come il nostro Sole)
  • * K: 3.500 - 5.000 K stelle gialle-arancio
  • * M: <>


Inoltre ogni classe è suddivisa in 10 sottoclassi numerate da 0 a 9 .

Le lettere del sistema di calssificazione non ricordano nessun ordine particolare, così per facilitarne la memorizzazione viene sempre insegnata una facile frase in inglese:

"Oh Be A Fine Girl, Kiss Me" : Oh, sii una ragazza gentile, baciami

I cambiamenti climatici (è tutto così ovvio?)

Ecco un interessante documentario realizzato da BBC e mandato in onda su Canale5 da "Matrix" nel 2007. Guardatelo! Non per dare più sostegno a una tesi piuttosto che ad un'altra ma per "aprire la mente" e sviluppare un salutare spirito critico di osservazione sulle cose che ci circondano (ancora meglio sarebbe aver visto prima il film-documentario "Una scomoda verità" (An Inconvenient Truth) diretto da Davis Guggenheim, con protagonista l'ex vicepresidente degli Stati Uniti d'America, Al Gore):

Prima parte (circa 10 min):


Seconda parte (circa 10 min):


Terza parte (circa 10 min):

Occhi di ragno

Bhè... forse pochi se ne sono accorti ma i ragni non hanno due occhi... nemmeno 3 o 4.
La maggior parte dei ragni ha 8 occhi (anche le zampe sono tipicamente 8); alcune della famiglie più primitive possiedono "solo" 6 occhi.
Il numero, la posizione e la distanza degli occhi dei ragni sono un importante carattere tassonomico.
Qui sotto ecco alcuni esempi di forma e disposizione:









Teorema della scimmia instancabile

Il teorema della scimmia instancabile afferma che una scimmia che prema a caso i tasti di una tastiera per un tempo infinitamente lungo quasi sicuramente riuscirà a comporre qualsiasi opera letteraria conservata nella Biblioteca Nazionale di Francia. (Gli anglosassoni lo hanno riformulato ponendo come risultato finale le opere di William Shakespeare.).



Il termine ‘scimmia’ è una metafora per una macchina teorica che produce una sequenza casuale di lettere ad infinitum... ma anche pensare ad una scimmia seduta alla scrivania non è mica male!


Il teorema può essere considerato un caso particolare del secondo lemma di Borel-Cantelli. Jorge Luis Borges, nel saggio "La Biblioteca Total" (apparso sulla rivista Sur nel 1939), attribuisce questo "teorema" ad Huxley (non specifica però se Aldous o Thomas Henry), ed in seguito lo inserisce (senza però citarlo) all'interno della struttura del suo racconto La Biblioteca di Babele (1941, raccolto in Finzioni).

L'idea risale però almeno a Jonathan Swift. Tra i progetti degli accademici di Lagado (incontrati da Gulliver nell'isola di Laputa) vi è infatti la produzione di tutti i possibili testi ottenuti combinando casualmente le lettere dell'alfabeto.

Molti autori hanno confutato la veridicità di questo teorema (si veda Richard Dawkins, L'orologiaio cieco, 1986, capitolo III). La principale obiezione consiste nell'osservazione che il tempo trascorso dalla nascita dell'universo ad oggi non sarebbe stato sufficiente alla scimmia per finire l'opera (si tratta di un'obiezione che evidentemente trascura che l'enunciato del teorema si riferisce esplicitamente ad un tempo infinito).

Ma tralasciamo queste discussioni; anche solo per puro esercizio mentale si può in effetti calcolare la probabillità che una scimmia, con a disposizione un tempo infinitamente lungo, scriva per intero l'Amleto di Shakespeare premendo i tasti a caso: per quanto resti un paradosso è comunque interessante andare a scoprire il risultato.

La domanda corretta per sottopporre in termini rigorosi il problema é: "Qual'è la probabilità che una scimmia battendo a caso tasti di una macchina da scirvere -dove ogni tasto ha la stessa probabilità di essere premuto- produca al primo tentativo l'Amelto (composto da 130.000 lettere)? (per andare un po incontro alla povera scimmia le concediamo di tralasciare punteggiatura, spaziatura e maiuscole)"

La scimmia, che batte a caso, ha una probabilità su 26 (i numero dei tasti dell’ipotetica macchina da scrivere) di scrivere la prima lettera dell’Amleto e una su 676 di scrivere le prime due (26x26). Poiché la probabilità diminuisce in maniera esponenziale con l’aumentare delle lettere da scrivere, a 20 lettere la chance è di una su 2620, vicina a quella di comprare quattro biglietti della lotteria consecutivamente e vincere ogni volta il primo premio. Nel caso dell’intero testo la probabilità è così incredibilmente piccola che molto a stento può essere concepita in termini umani. Per un testo appunto di 130.000 lettere, esiste una probabilità su 3.4x10183946 di ottenere l’Amleto al primo tentativo. Il numero medio di battiture che occorre effettuare prima che il testo abbia una possibilità (statistica) di apparire è lo stesso. Per avere un termine di paragone esistono solo 1079 atomi di Idrogeno nell’universo, mentre sono trascorsi 1021 minuti dal Big Bang (circa 14 miliardi di anni).

L'importanza dei primi

Per definizione un numero primo è un numero naturale (cioé intero positivo) che non si può scomporre come prodotto di due numeri naturali più piccoli. I primi numeri primi sono 2, 3, 5, 7, 11, 13, 17,... L'importanza dei numeri primi deriva dal cosiddetto "Teorema fondamentale dell'aritmetica", noto fin dalla scuola elementare, il quale afferma che ogni numero naturale può essere rappresentato in uno e un solo modo come prodotto di primi.

Possiamo quindi dire che i numeri primi sono i mattoni con cui costruire tutti i numeri naturali, gli atomi dell'aritmetica. Pertanto una migliore conoscenza dei primi porta a progressi in tutta quella branca della matematica che va sotto il nome di "Teoria dei numeri".Il più famoso problema aperto della matematica, dopo la dimostrazione di Andrew Wiles dell'Ultimo teorema di Fermat, è legato ai numeri primi. Si tratta dell'Ipotesi di Riemann, che è in realtà una congettura formulata da B. Riemann nel 1859 e riguarda la distribuzione degli zeri della funzione zeta. Questa è una funzione di variabile complessa definita dalla formula:

la funzione zeta si annulla se s assume un qualunque valore intero negativo pari. L'Ipotesi di Riemann afferma che tutti gli altri numeri complessi s per cui ζ(s) = 0 hanno parte reale uguale a 1/2. Per ragioni che è impossibile spiegare in poche parole, la distribuzione degli zeri di ζ(s) è a sua volta strettamente legata alla distribuzione dei numeri primi. Questi presentano un andamento che localmente è molto irregolare ma globalmente, viceversa, è assolutamente regolare. La dimostrazione dell'Ipotesi di Riemann permetterebbe di migliorare di molto la stima della funzione Π(x), definita come il numero dei primi minori di x.

L'Ipotesi di Riemann faceva già parte dei 23 problemi di Hilbert, enunciati nel 1900, che hanno segnato la ricerca matematica del secolo scorso, ed è uno dei 7 "Problemi del Millennio" per la cui soluzione il Clay Mathematics Institute ha bandito, nel 2000, un premio da un milione di dollari ciascuno.
Negli ultimi 20 anni la Teoria dei numeri primi ha attirato l'interesse di molti non matematici per le sue applicazioni nell'informatica e nella crittografia, legate per esempio al problema della sicurezza in Internet, alla firma digitale, alla trasmissione di dati in codice. In particolare sono stati sviluppati test di primalità, algoritmi di fattorizzazione, metodi per generare numeri primi e per generare numeri casuali.

Nello studio della distribuzione degli zeri della funzione zeta, recentemente sono emerse sorprendenti analogie con il Calcolo delle probabilità, la Fisica quantistica, la Teoria del caos, la Fluidodinamica, analogie che hanno convogliato sui numeri primi l'interesse di molti scienziati precedentemente molto lontani dalla teoria dei numeri.

[Fonte: www.ulisse.sissa.it]

Così vicini, così lontani.

Il gerride e la notonetta sono piccoli emitteri acquatici.

Entrambi, appartenenti al sottordine Heteroptera , sono dotati di un rostro pungente che li rende, nel loro mondo, temibili predatori. Ma, anche se si trovasser a convivere nello stesso specchio d’acqua (cosa che in effetti accade frequentemente), e persino se fossero vicinissimi tra loro, raramente si accorgerebbero l’uno dell’altra; un confine invalicabile li separa: la superficie dell’acqua.

Il gerride infatti vive pattinando in superficie: non può né nuotare né immergersi, ma si muove sfruttando la tensione superficiale dell'acqua grazie alla leggera peluria idrofuga di cui sono rivestite le estremità delle sue zampe.


La Notonetta invece vive in acqua ma “sottosopra” nuotando sul dorso e usando le robuste e lunghe zampe posteriori come pagaie. Quando non nuota aderisce alla superficie dell’acqua in attesa di un preda o solo per rinnovare la sua riserva d’aria.

Notizia bomba... :(

La più potente bomba all'idrogeno mai sperimentata dall'uomo è stata la Bomba Zar(o Tsar Bomba o RDS-220).

Costruita dall' Unione Sovietica in poco più di sei settimane, fu sganciata sull' sull'isola di Novaja Zemlja il 30 ottobre 1961 alle ore 8:33 (qui il punto esatto dell' esplosione). Il suo potere esplosivo era di quasi 57 megatoni (57 000 000 tonnellate equivalenti di TNT),cioè 4000 volte quello della bomba sganciata su Hiroshima.

La nube a fungo risultante dall'esplosione raggiunse un'altezza di 60 km (60000 metri!... circa 7 volte l' Everest), l'onda d'urto fece tre volte il giro del mondo e il lampo dell'esplosione risultò visibile ad oltre 1000 km di distanza. Ci fu anche un black out delle comunicazioni radio di circa 40 minuti in tutto l'emisfero settentrionale.


Cervello... che numeri!

Il cervello è composto da qualcosa come 10 miliardi di neuroni.

I neruroni possono raggiungere una lunghezza variabile, da un decimo di millimetro a due metri.

L’impulso ha la durata di un millisecondo e può viaggiare alla velocità di 320-480 chilometri orari.

Ogni cellula nervosa del cervello umano ha in media dalle 1000 alle 10000 connessioni sinaptiche per neurone.

...se facciamo due conti, considerando i 100 miliardi di neuroni nel cervello e moltiplicandoli prudentemente per il minor numero possibile di connessioni per neurone, che è circa di 1000, avremo un totale di 100000 miliardi di connessioni.

Secondo questa stima prudenziale, ci sono più sinapsi nel cervello umano che stelle nella nostra galassia.

"Ti prego... mangiami!"

Gli animali, comunemente, cercano in ogni modo di ridurre le possibilità di farsi divorare dai predatori… ma non tutti. Esistono dei simpatici vermi piatti (tra la classe dei Trematodi) il cui scopo principale nella vita è farsi mangiare! Questo perché per completare il loro ciclo vitale, devono farsi “aiutare” da almeno un’ospite: questi vermi sono, infatti, parassiti (alcuni anche dell’uomo).
Leucochloridium paradoxum utilizza come ospiti sia gasteropodi (ospite intermedio) che uccelli (ospite definitivo). Da un piccolo uovo, ingerito da un’ignara chiocciola, se ne esce una larva che crescendo si trasforma in una sporocisti a forma di sacco. Le sporocisti sviluppano strutture rigonfie vivacemente colorate a bande (verdi, marroni e arancioni) che, pulsando, migrano fino ad invadere i tentacoli oculari della chiocciola. Inoltre la presenza del parassita nei tentacoli oculari riduce,probabilmente , le capacità visive del mollusco inducendolo ad abbandonare le sicure zone ombrose, per spostarsi invece in zone più illuminate ma più esposte ai predatori.



Le poco appariscenti chiocciole si trasformano così in “insegne lampeggianti ambulanti”: i tantacoli così modificati ricordano in qualche modo l'aspetto di un bruco. Gli uccelli ne vengono attirati e beccano i tentacoli ingerendo così anche le cellule infettive. Per le chiocciole le conseguenze sono minime perché saranno in grado di rigenerare i tentacoli oculari in poco tempo. Ma il parassita ha ottenuto ciò che voleva: essere mangiato. All’interno dell’intestino dell’uccello, Leucochloridium completerà il suo ciclo riproduttivo producendo alla fine piccole uova che, assieme agli escrementi, l’uccello stesso provvederà a diffondere. Amazing!

Per la serie se non vedo non credo ecco un bel video:

Medicine omeopatiche: chiare, fresche e dolci... acque!

L’articolo che segue è un estratto dal il sito del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale).

Si può leggere l'articolo dal sito dopo iscrizione gratuita.
Comunque eccolo anche qui:

[
OMEOPATIA
"L'arte di vendere acqua"

di Roberto Vanzetto

Alcune note introduttive

I prodotti omeopatici, molto in auge in questi ultimi anni, hanno una composizione a dir poco curiosa: al di là degli eccipienti (che permettono di confezionare i preparati sotto forma di pastiglie, compresse effervescenti, creme, granuli o altro) essi contengono, come principio attivo, o una quantità irrisoria e inutile di molecole mescolate con acqua, oppure (ed è la maggioranza dei casi) esclusivamente dell'acqua pura e nient'altro.


L'omeopatia, dal punto di vista commerciale, è semplicemente l'arte sottile di vendere a prezzi esorbitanti dell'acqua pura, spacciandola per qualcosa che non è: una medicina. Il cosiddetto medico omeopata, sia per forma mentis che per modo di operare, è comparabile molto più a un mago stregone piuttosto che a un vero ricercatore di medicina: egli infatti, pur propinando ai suoi pazienti della semplicissima acqua, costituita dalle classiche molecole di H2O allo stato liquido, ritiene e cerca di far credere ai pazienti che tale acqua sia "magica", cioè diversa dall'acqua normale.
Per l'omeopata infatti, l'acqua che si sostituisce completamente al principio attivo dei suoi prodotti sarebbe qualcosa di possibile grazie a trattamenti magico-rituali che vengono eseguiti in fase di preparazione. Tali riti consistono di un particolare scuotimento delle boccettine omeopatiche: tale scuotimento prende il nome di "succussione" ed è ritenuto provocare la "dinamizzazione" dell'acqua. Il risultato di tale dinamizzazione, secondo le credenze degli adepti omeopati, sarebbe quello di fornire all'acqua (che ricordiamo rimane l'unico componente del preteso medicinale) una memoria, vale a dire la capacità di ricordare. In questo modo, per esempio, l'acqua omeopatica dovrebbe ricordare con quali molecole si è trovata a contatto nel procedimento di succussione, anche dopo che tali molecole siano completamente scomparse.
Al di là del fatto che tali idee da un punto di vista strettamente teorico rappresentano una totale assurdità, ciò che più conta è che anche dal punto di vista pratico la teoria omeopatica non si regge in piedi: i prodotti omeopatici infatti non hanno dimostrato di essere più efficaci dell'effetto placebo. Ciò significa che somministrare a un malato un prodotto omeopatico oppure un prodotto finto (tipo una pastiglia di amido) non cambia le sue probabilità di guarigione. Gli omeopati, insomma, non sono fino a oggi riusciti a dimostrare con alcun esperimento che la loro acqua, che presumono dotata di memoria, abbia effetti diversi dall'altra acqua, quella che non è stata né succussa né dinamizzata.
Si badi bene che qui non si sta negando che vi possano essere delle persone che guariscono assumendo dei prodotti omeopatici; si sta però affermando che le percentuali di tali guarigioni non riescono a superare le guarigioni per effetto placebo e di conseguenza non sono attribuibili a una reale efficacia del preparato omeopatico.
Ci si potrebbe allora chiedere: com'è possibile che i prodotti omeopatici siano in vendita in molte farmacie italiane, se è vero che non hanno mai dimostrato un'efficacia maggiore di un semplice placebo? In altre parole, com'è possibile che i prodotti omeopatici siano venduti in farmacia pur non avendo mai superato alcun test di efficacia?

Il test che non c'è e la libertà di scelta terapeutica

Una risposta c'è: i prodotti omeopatici sono in vendita in farmacia perché, grazie a una legge europea varata appositamente in loro favore, a essi non viene richiesto (come agli altri farmaci) di superare sia il test di innocuità sia il test di efficacia, ma di superare solamente quello di innocuità. La proposta di direttiva della CEE (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 1/5/1990) parla chiaro: per essere registrati (e posti in vendita) i farmaci devono superare le prove di innocuità, qualità ed efficacia. Nel caso dei prodotti omeopatici si procede invece con la "registrazione semplificata": per essi "non è richiesta la prova dell'effetto terapeutico" (art. 4). Tale direttiva venne recepita dal parlamento italiano nel febbraio del 1994 e si tramutò in legge il 6/6/1995.
I prodotti omeopatici, dunque, "possono essere registrati senza ottemperare alle esigenze di registrazione degli altri farmaci, i quali hanno l'obbligo di dimostrare la loro efficacia". È per questo motivo che, da un punto di vista strettamente legale, i prodotti omeopatici in vendita in farmacia sono definiti "rimedi" e non "farmaci". Ovviamente, essendo i preparati omeopatici fatti di molecole di H2O allo stato liquido più eccipienti, va da sé che il test di innocuità lo superano brillantemente. Così brillantemente da non manifestare assolutamente alcun effetto collaterale.
Ci si potrebbe a questo punto chiedere: perché è permesso che in farmacia si vendano dei prodotti che dimostrano soltanto di non essere nocivi e non, nel contempo, di essere anche efficaci? Bisogna aggiungere, a questo punto, che questo problema non riguarda solamente i rimedi omeopatici: ultimamente la farmacia sta assumendo sempre più l'aspetto di un negozio commerciale dove vengono venduti una quantità di prodotti la cui efficacia è completamente nulla. Un esempio è il braccialetto di rame, che viene proposto come cura di moltissimi mali. Di esso si discorre a vanvera di onde positive e negative, di equilibrio energetico e magnetico, ma funziona solamente per effetto placebo.
Torniamo comunque alla domanda di cui sopra: perché i rimedi omeopatici sono in bella mostra in farmacia come fossero l'ultimo ritrovato della scienza, mentre sono fatti in realtà della comunissima acqua di cui l'intero pianeta Terra è zeppo? E perché nella stessa farmacia, per legge, vi sono due pesi e due misure? La risposta c'è, anche se sembra una presa per i fondelli: si chiama libertà di scelta terapeutica.
Oltre all'approvazione della legge che permette ai prodotti omeopatici si stare in farmacia senza dimostrare di essere efficaci, in Italia è stato fatto un altro favore all'omeopatia: una serie di sanatorie per tutti quei prodotti entrati in farmacia senza alcun controllo (nemmeno quello di qualità). La proposta di sottoporre almeno al test di qualità anche i prodotti omeopatici, suscitò le proteste degli omeopati che gridarono allo scandalo. Secondo costoro un tale provvedimento avrebbe fatto sparire dalle farmacie ben il 60% dei loro rimedi. Gli omeopati insorsero sorretti dalla stampa, e con appelli accorati organizzarono una colossale raccolta di firme, convincendo i più che una tale proposta avrebbe impedito ai cittadini di curarsi come meglio credevano. Fu così che l'acqua magico-omeopatica rimase in farmacia in nome della libertà.
Per una persona con un minimo di onestà intellettuale "libertà di scelta terapeutica" significa libertà di scegliere fra differenti terapie la cui efficacia sia però stata testata (a garanzia del paziente); altrimenti è ovvio che chi acquista dell'acqua pura credendo vi siano contenuti dei principi attivi, più che di fronte a una scelta terapeutica si trova di fronte a una grossolana fregatura. Come potrebbe infatti un comune cittadino sospettare che l'autorevolezza di cui a ragione godono sia i medici sia le farmacie possa venire utilizzata in modo tanto basso e meschino da abusare della sua fiducia per propinargli della semplice acqua al posto di una medicina?

Come nacque l'omeopatia

Passiamo ora a dare un sintetico sguardo storico alla nascita di questa irrazionale disciplina: l'omeopatia venne fondata nel 1789 dal dottor Samuel Hahnemann (1755-1843), che ipotizzò un principio di similarità per curare i suoi pazienti. Tale principio essendo espresso con la massima "similia similibus curantur", ovvero "i simili si curino con i simili". Omeopatia, infatti, deriva dalle parole greche ómoios, che significa "stesso", e páthos, che significa "malattia, disagio".
Secondo tale principio si poteva curare una malattia o un disagio somministrando al malato quella stessa sostanza che in una persona sana avrebbe provocato proprio quella malattia o quel disagio. Applicando questo assunto in modo esplicito si arriverebbe ben presto a provocare banalmente dei danni alla salute. Ad esempio, per far passare una sbornia, visto che il simile cura il simile, si potrebbe essere indotti a prescrivere dei bicchierini di grappa; oppure, per riuscire a dimagrire in modo omeopatico, si potrebbe decidere di trangugiare una quantità di pillole di lardo. Un'applicazione diretta del principio, come enunciata nei due esempi precedenti, porterebbe evidentemente all'aggravarsi del disagio e non certo a una sua scomparsa.
Per ovviare a questi inconvenienti, lo stesso Hahnemann aggiunse un'importantissima clausola alla sua teoria: il principio attivo simile (la sostanza cioè che viene ritenuta responsabile del disagio, negli esempi precedenti l'alcool o i grassi) deve venire considerevolmente diluito in acqua prima di essere utilizzato per curare un qualsiasi paziente.
Ma quanto diluito? Ai tempi in cui il dottor Hahnemann fondò l'omeopatia non era ancora diffusa la teoria molecolare della materia e nessuno poteva immaginare che 18 grammi di acqua contenessero un numero di molecole pari a 6,025*1023 il numero di Avogadro , scoperto dal chimico-fisico Amedeo Avogadro (1776-1856) nel 1811. Perciò Hahnemann utilizzò diluizioni in acqua talmente spinte da finire per perdere ogni traccia dei diversi principi attivi che di volta in volta utilizzava.
Senza poter rendersene conto, Hahnemann, pur partendo da sostanze diverse, produsse dei medicinali che contenevano solamente acqua. I suoi medicinali erano dunque completamente inutili, ma anche completamente innocui. Ed è per questo motivo che egli ebbe successo: ai suoi tempi era infatti prassi per i medici passare da un paziente all'altro senza lavarsi le mani, sostenendo che la loro sporcizia era una sporcizia professionale, e non era affatto raro che si somministrasse il salasso perfino per curare l'anemia: in altre parole, le cure mediche di allora erano molto spesso nocive per il paziente. Dare della semplice acqua e null'altro poteva dunque portare a un vantaggio: quello di non provocare danni. Ad Hahnemann capitò quindi di avere una minor percentuale di decessi rispetto ai suoi colleghi, e questo lo incoraggiò a proseguire per la sua strada (questa scusante, se pur fu valida per Hahnemann, non si può ovviamente accordare ai suoi odierni discendenti, i quali sono del tutto consapevoli di vendere acqua allo stato puro e farfugliano di strane energie per rnascherare o la loro abissale ignoranza o la loro evidente malafede).
Nacque così l'omeopatia, la cui regola d'oro divenne: "Ciò che in dosi ponderate causa la malattia nell'individuo sano, in dosi infinitesimali è di cura per l'individuo malato".



CH15: un millesimo di goccia sull'intero pianeta Terra

Cerchiamo ora di discutere in dettaglio cosa intendano a tutt'oggi gli omeopati per "dosi infinitesimali" (o meglio "dosi deboli", come preferiscono chiamarle attualmente i successori di Hahnemann). Potremo così chiarire le affermazioni fatte all'inizio del discorso riguardo al fatto che il principio attivo dei rimedi omeopatici è talmente diluito da sparire nell'acqua (anzi, secondo alcuni, più un principio è diluito e più esso è efficace, ragion per cui le diluizioni degli omeopati sono praticamente senza limite).
Si deve notare che gli stessi omeopati, alla fine dei loro processi di diluizione, non sono in grado di distinguere i loro preparati (neanche i meno diluiti) dall'acqua bidistillata. Le loro diluizioni arrivano a percentuali di volume di preparato curativo su volume di acqua di 10-30, 10-60, 10-200 e oltre.
Un veterinario omeopata, che in questi giorni si è offerto coraggiosamente di sottoporre a test in doppio cieco i suoi metodi di cura, mi ha confidato candidamente di diluire i principi attivi che usa fino a 10-10.000. E il dottor Valter Masci, un vero luminare dell'omeopatia in Italia, insegna che si può diluire fino a 10-2.000.000. Tali numeri sono fuori dalla capacità di immaginazione umana, perciò è bene fare alcuni esempi.
Innanzitutto, la notazione: quando si scrive 10-30 (si legge: "dieci alla meno trenta") si intende dire "uno diviso un numero fatto da un 1 seguito da 30 zeri". In questo modo 10-3 significa un millesimo, 10-6 significa un milionesimo, 10-9 significa un miliardesimo, eccetera. Si comprende allora che 10-30 è un numero davvero infinitesimo (figuriamoci 10-2.000.000!).
Nei prodotti omeopatici tali diluizioni sono scritte sull'etichetta attraverso una sigla sibillina studiata apposta per non far capire che dentro c'è solo acqua. Tale sigla è CH oppure DH seguita da un numero. DH significa decimale e CH significa centesimale. DH20, per esempio, significa "ventesima diluizione decimale" ovvero 10-20; mentre CH20 significa "ventesima diluizione centesimale" che equivale numericamente a 10-40.
Facciamo ancora qualche esempio per chiarire cosa si intende quando si dice che tali diluizioni sono infinitesime: consideriamo il prodotto omeopatico belladonna CH9 (uno dei meno diluiti in commercio). Esso è costituito da belladonna diluita in acqua a 10-18. Cosa significa, in pratica?
Prendete una scatola di aspirine e leggete le istruzioni: ogni compressa contiene amido di mais e cellulosa in polvere come eccipienti e mezzo grammo di acido acetilsalicilico come principio attivo. Come arrivare a una quantità di 10-18 grammi di principio attivo? Spezzettate l'aspirina in cinquecentomila parti (operazione piuttosto difficile) e raccogliete uno di questi frammenti: ora avete in mano esattamente un milionesimo di grammo di acido acetilsalicilico, ovvero una percentuale di 10-6. Questa piccola parte dividetela amichevolmente con un migliaio di persone: vi resterà così una parte pari a 10-9. A questo punto, sempre che siate in grado di vedere e tenere in mano il vostro millesimo di cinquecentimillesimo di aspirina, scioglietelo in una grande piscina d'acqua, preparando poi un miliardo di boccettine: ecco fatto. Avete finalmente ottenuto una delle diluizioni omeopatiche meno spinte in commercio: la CH9, ovvero 10-18!
Che fare con quel miliardo di boccettine? Un'idea: potete curare tutti i cinesi sofferenti di influenza e raffreddore. Ovviamente, avete consumato soltanto una parte su duecentocinquanta milioni della aspirina iniziale, perciò tutto il popolo Cinese può stare tranquillo anche per l'anno prossimo, e per quello dopo ancora, e ancora per tanti e tanti anni a venire. Ma 10-18 è nulla rispetto a ciò che osano gli omeopati.
Vediamo ora qualche diluizione più seria: 10-30 significa che c'è una sola molecola attiva (cioè diversa dall'acqua) su un milione di litri di acqua (e va ricordato che 18 grammi di acqua sono costituiti da più di 1023 molecole).
Come fanno gli omeopati a raggiungere queste diluizioni? Ecco una ricetta per raggiungere 10-30 (la quindicesima centesimale CH15): si mettono 15 bicchierini di acqua in fila; nel primo si aggiunge una goccia (un centesimo del volume del bicchiere) di una qualsiasi sostanza (propoli, belladonna o cianuro non ha importanza) e si mescola ben bene (pardon, si dinamizza) ottenendo la diluizione di un centesimo. Fatto questo, con una pipetta si raccoglie una goccia dal liquido del primo bicchiere e la si versa nel secondo, che conteneva solo acqua, raggiungendo la diluizione di un decimillesimo. Si rimescola e si procede di nuovo travasando una gocciolina dal secondo al terzo, poi dal terzo al quarto e così via, fino al quindicesimo bicchiere. Fatto questo, nell'ultimo bicchiere la quantità della sostanza iniziale (il principio attivo) è 10-30 rispetto alla quantità d'acqua: il che significa, fisicamente, che non ce n'è più.
Per fare un altro paragone considerate che una diluizione di 10-30 equivale a mettere un millesimo di grammo (ovvero 10-6 Kg) sulla massa dell'intero pianeta Terra (il cui peso è circa 1024 Kg). Una diluizione di 10-60 significa invece (essendo tutta l'acqua presente sulla Terra fatta da circa 1046 molecole) che vi sarebbe una sola molecola attiva su centomila miliardi di volte la totalità dell'acqua presente negli oceani terrestri. A questo punto quante probabilità ci sono che in un bicchierino di prodotto omeopatico ci sia almeno una singola molecola diversa dall'acqua fra i miliardi e miliardi di molecole presenti? Il conto è presto fatto: le probabilità sono molte di meno di quelle che qualcuno riesca a vincere 5 volte di seguito il primo premio alla Lotteria Italia. Nel caso quindi capitasse proprio a voi quell'unica boccettina di prodotto omeopatico che oltre all'acqua contiene anche una singola molecola di principio attivo, potete andare tranquillamente a dire ai vostri vicini: "Ce l'ho io! Smettete di spendere soldi per comprare prodotti omeopatici, tanto ce l'ho io! Ah, ah, ah!"

Diluizioni da togliere il fiato!

Per pura curiosità, anche se la mente vacilla, affrontiamo l'infinitesimo omeopatico più spinto: dieci alla meno due milioni. Quant'è 10-2.000.000? È ovviamente un 1 diviso da un numero fatto da un 1 con attaccati 2.000.000 (due milioni) di zeri. Ma se "un miliardesimo" corrisponde a un 1 diviso 1 con attaccati nove zeri (1/1.000.000.000), e "un miliardesimo di miliardesimo" corrisponde a un 1 diviso 1 con attaccati diciotto zeri (1/1.000.000.000.000.000.000), quanti miliardesimi di miliardesimi di miliardesimi eccetera è il numero 10-2.000.000? Si può dire a voce? Ecco il sistema: bisogna dire un "miliardesimo di miliardesimo di..." per più di centoundicimila volte di seguito. Considerando che si impieghi 1,5 secondi a dire la frase "miliardesimo di miliardesimo di", per pronunciare correttamente l'intero numero ci vogliono allora più di 46 ore. Senza fermarsi a respirare.

La teoria del complotto

A volte gli omeopati - e anche la gente comune - di fronte alle resistenze che vengono opposte da molti medici e ricercatori alla diffusione dei prodotti omeopatici, vanno in giro a gridare al complotto. L'idea, secondo loro, è questa: le case farmaceutiche, con la loro potente lobby, non vogliono che la gente possa utilizzare i prodotti omeopatici e perciò ricoprono di denaro chiunque ne parli male. Per esempio, io stesso, secondo questo teorema, dovrei ricevere parecchi soldi dalle lobby farmaceutiche visto che sto parlando "male" dei rimedi omeopatici.
A questa visione maniacale si può rispondere con un ragionamento estremamente semplice: chi credete che produca i rimedi omeopatici? Pensate forse che i milioni e milioni di scatolette che invadono tutte le farmacie d'Europa siano fatte a mano da una congrega di naturopati? No. Vi sono delle case farmaceutiche che entrano anche in questa fetta di mercato, producendo, oltre ai classici farmaci, anche i più svariati rimedi omeopatici.

L'omeopatia può essere comparata al vaccino?

Passiamo adesso a smontare un'altra piccola bugia che spesso propinano i venditori di prodotti omeopatici per far credere che l'omeopatia abbia un fondamento scientifico: il confronto con l'idea del vaccino.
Il seguente esempio aiuta a distinguere il meccanismo con cui dovrebbe funzionare il prodotto omeopatico dal meccanismo con cui funziona un vaccino. Il vaccino funziona ammettendo dei batteri deboli (in numero diverso da zero, sia chiaro) nell'organismo affinché questo produca degli anticorpi e resista a un eventuale successivo attacco batteriologico.
La teoria che sta alla base del prodotto omeopatico è invece diversa: essa prevede l'assunzione dell'agente patogeno (o meglio dell'acqua dove precedentemente una infinitesima parte dell'agente patogeno aveva forse fatto il bagno) dopo che l'attacco all'organismo è già avvenuto.
Si pensi alla seguente situazione: c'è un forte di soldati, è notte e stanno tutti dormendo. Il vaccino funzionerebbe così: arrivano tre indiani malaticci ad attaccare il forte; i soldati si svegliano, si preparano e sconfiggono i tre indiani. Rimangono quindi desti e aspettano armatissimi il grosso della tribù (che in questo esempio rappresenta la malattia, senza offesa per gli indiani). L'omeopatia invece dovrebbe funzionare così: i soldati stanno dormendo e una tribù indiana li attacca all'improvviso. A metà del combattimento si inseriscono nel forte (per salvarlo) tre piume d'indiano diluite in cento miliardi di oceani terrestri sottoforma di comodi bicchierini. Arrivano i nostri!

L'acqua che male fa?

Un'ultima considerazione: qualcuno potrebbe dire che i prodotti omeopatici, visto che sono fatti di acqua, non fanno male a nessuno. Questo è vero, ed è anche vero che per tutte quelle persone che abusano di farmaci (o di psicofarmaci) senza averne bisogno, è senz'altro meglio ingurgitare pastiglie omeopatiche. Ma non è questo il punto: innanzitutto, se non si ha bisogno di farmaci si può fare semplicemente a meno di prenderli, sostituendoli con una passeggiata gratis piuttosto che con un costoso prodotto omeopatico; e poi si deve tener conto che c'è anche chi ha veramente bisogno di cure efficaci e assumendo prodotti inutili trascura la propria malattia. In questi ultimi anni, la moda delle medicine alternative, omeopatia in testa, ha fatto sì che molte persone siano arrivate al pronto soccorso in fase già avanzata o acuta di malattia. Questo per il semplice motivo che può capitare di perdere giorni e giorni, se non addirittura settimane, a cercare di guarire confidando in sciocche e inutili superstizioni, anziché cercare al più presto una cura testata e funzionale.
E di questo è complice, prima ancora degli omeopati che andrebbero semplicemente compatiti, la pessima qualità dell'informazione veicolata dai media: in essa si esaltano le medicine alternative per il solo fatto di essere "alternative", come se questo significasse qualcosa.

Roberto Vanzetto
astrofisico, Ph.D.

Centro Interdipartimentale Studi e Attività Spaziali "G. Colombo"
Dip. Ingegneria Meccanica, Padova

Documento del CICAP
Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale. ]

Se proprio siete ancora convinti di volervi curare con le medicine omeopatiche va bene, ma almeno non andate a raccontarlo in giro! ;-)

Meteo su Giove: "All'equatore: mal tempo per... 300 anni!"

La Grande Macchia Rossa di Giove è un enorme uragano largo più di 24000 km (due volte la nostra Terra!) posto a 22° sotto l'equatore; dura da almeno 300 anni, ma la sua vera età è sconosciuta, visto che prima di allora nessuno poteva osservarla. Dal momento della sua scoperta nel 1665 (Cassini ed Hooke) è sempre stato l'elemento più affascinante del pianeta più grande del sistema solare.



Ricorda un’ immensa tempesta anticiclonica terrestre poiché gira in senso antiorario (i cicloni ruotano in senso orario mentre sono gli anticicloni a ruotare in senso antiorario) i cui venti soffiano ad oltre 400Km/h. Le nuvole in cima a questa tempesta si trovano circa 8 km più in alto di quelle circostanti.



Fenomeni come questi non sono rari nelle atmosfere dei pianeti giganti gassosi. Per esempio, Nettuno ha una Grande Macchia Scura. Saturno ha avuto brevemente grandi macchie bianche. Anche Giove ha degli ovali bianchi, assieme ad altri marroni, tutte tempeste più piccole e senza una denominazione. Gli ovali bianchi sono in genere composti da nuvole relativamente fredde nell'alta atmosfera. Gli ovali marroni sono più caldi, e si trovano ad altezza normale.
Queste tempeste possono durare indifferentemente poche ore o molti secoli. Alcuni di questi fenomeni, come appunto la Grande Macchia Rossa, sono straordinariamente stabili. La sua longevità può essere dovuta a diversi fattori, ma principalmente al fatto che queste tempeste non hanno modo di consumarsi velocemente per attrito con una superficie solida perché non ce n'è una. Giove è infatti per la gran parte gassoso eccetto forse un piccolo nucleo centrale di dimensioni pari a 20 volte quelle della terra (ben poca cosa rispetto l'enormità dell'astro: 142000 km di diametro). Ci metterà molto tempo per esaurirsi insomma, qualora debba accadere.
Misurazioni degli ultimi anni indicano però che la Grande Macchia Rossa è grande circa la metà di come lo era 100 anni fa, e il suo colore rosso è più sbiadito che in passato. Si tratta di fluttuazione ciclica oppure no? Aspettiamo ancora qualche secolo e vediamo che succede…

Alla faccia del sesso debole!

Mai sentito parlare di Lofiformi? é un Ordine di pesci marini. Questi pesci sono caratterizzati dall’avere appendici dorsali somiglianti ad esche, utilizzate per attirare le prede (spesso, infatti, le
estremità di queste appendici sono colonizzate da batteri endosimbionti fotogeni).

Si tratta di abitatori dei fondali oceanici lunghi fino ad 1,5 m, che strisciano alla ricerca di cibo sulle pinne pettorali. Tra le circa 265 specie che fanno parte dell’ordine, quella più rappresentativa è la rana pescatrice (Lophius piscatorius, meglio nota nell'ambiente culinario come "coda di rospo"), comune nelle acque costiere europee e nordamericane; la si trova anche nel mar Mediterraneo, come pure la specie molto affine budego (Lophius budegassa), detto anche pesce porco.


Lophius piscatorius mentre cattura un pesce.

Una Famiglia ben rappresentata all'interno dell' Ordine Lofiformi è quella dei Ceratidi (Ceratiidae).


Bufoceratias weedi


Lasiognathus amphirhamphus

In questi animali la Natura ha selezionato un insolito comportamento riproduttivo: fino a pochi anni fa non erano ancora mai stati osservati maschi (o se succedeva venivano riconosciuti come appartenenti ad un’altra specie); questi sono molto più piccoli delle femmine (circa un decimo), e mancano della caratteristica 'esca'. Il maschio cerca la femmina e una volta trovata si attacca al corpo della compagna vivendo come un parassita. I sistemi circolatori dei due pesci si uniscono e i nutrienti presenti nel sangue della femmina diventano la sola fonte di sostentamento del maschio, il cui apparato digerente è pressoché atrofizzato. Presumibilmente la femmina è poi in grado, tramite suoi ormoni, di controllare il rilascio di spermi coordinandolo con l'espulsione delle sue uova dal corpo. Lo stupefacente adattamento messo in atto da questi pesci di profondità ne garantisce l’accoppiamento: in altro modo, sarebbe estremamente difficile per i ceratidi reperire un partner nell’oscurità degli abissi.


In questo disegno una femmina con maschio unito all'altezza della coda. Occasionalmente possono essere attaccati più maschi alla volta.
[Fonte: ENCARTA]

Carine lumachine...

I nudibranchi ,cioè “branchie esterne”(nude), sono gasteropodi. Appartengono cioè alla grande famiglia dei molluschi, così come i bivalvi ed i cefalopodi. Sono strettamente imparentati con i prosobranchi, ovvero i comuni gasteropodi dotati di conchiglia, ma fanno parte degli opistobranchi, un gruppo di animali accomunati dal fatto di avere appunto le branchie nella parte posteriore del corpo ed una conchiglia molto ridotta od assente.
All’interno della sottoclasse degli opistobranchi, i nudibranchi veri e propri sono solo uno dei 6 ordini, insieme alle lepri di mare ed ad altri animali meno comuni.
L’ordine dei nudibranchi si divide poi in 4 subordini:Doridina, Dendronotina, Arminina ed Aeolidina.Il primo subordine, che conta più nudibranchi di tutti gli altri tre nel loro insieme, comprende animali per la maggior parte dotati di grandi branchie attorno all’apertura anale, nella parte posteriore del corpo. I doridini sono poi per comodità divisi in 3 gruppi : “criptobranchi”, dalla forma ovale più allargata verso il capo, capaci di ritrarre le branchie in un apposito foro e dotati di rinofori a forma di piuma; “porostomi”molto simili ai precedenti ma dalla forma ovale più regolare ( fanno eccezione i nudibranchi della specie Phyllidiae, che sono inconfondibili con il loro mantello tubercolato); il terzo gruppo è quello dei “Fanerobranchi” ossia “dalle branchie evidenti” caratterizzati dall’incapacità di ritrarre le branchie e dall’elevato numero di forme diverse di rinofori
Il subordine dei Dendronotini comprende nudibranchi dal corpo coperto da ciuffi di branchie di diverse forme e da rinofori a tubo od a flauto.
Gli Arminini hanno tutti in comune la presenza di un vello orale, mentre generalmente la branchie sono disposte sul fianco e i rinofori sono spesso striati; alcune specie, come i nudibranchi del genere Janolus, hanno il corpo ricoperto di appendici, cosa che li rende inconfondibili
Infine gli Aeolidini hanno corpo allungato e due protuberanze sul capo, dette tentacoli cefalici, distinte dai rinofori. Il corpo è inoltre ricoperto da ciuffi di organi respiratori chiamati cerata, sulle cui estremità si trovano i cosiddetti “cnidosacchi” dove si accumulano, a scopo difensivo, le nematocisti urticanti, tossine raccolte dagli idroidi e dagli altri cnidari di cui questi nudibranchi si cibano.


















Ciò che certamente caratterizza i nudibranchi è l’incredibile varietà di colori e disegni sfoggiati sui loro manti, una varietà tale da non trovare simili in alcun altro genere animale. Fino a qualche tempo fa si riteneva che ciò aiutasse i nudibranchi a riconoscere i membri della stessa specie, ma questa teoria è stata abbandonata quando si è scoperto che questi animali non riconoscono nemmeno le forme, figuriamoci i colori. Ma a cosa servono allora questi colori? Lla risposta è data dalla ricerca di strategie difensive che supplissero alla perdita della protezione fornita dalla conchiglia. Ecco che allora si comprende come questi animali abbiano sviluppato arsenali di armi chimiche ed al tempo stesso, colori accesi per avvertire i potenziali predatori della loro pericolosità. Questo tipo di colorazione viene detta aposematica. In realtà non tutti i nudibranchi hanno sviluppato questo tipo di colorazione, al contrario alcune specie si sono evolute per imitare le forme ed i colori dell’ambiente circostante. Questa colorazione, detta criptica, non comporta necessariamente un aspetto poco appariscente, al contrario alcuni nudibranchi imitano perfettamente habitat estremamente appariscenti. Alcuni nudibranchi dell’ indopacifico tropicale raggiungono l’apice di quest’arte imitando in maniera sbalorditiva diversi tipi di coralli molli.

Un esperimento facile facile...

Prendete un bicchiere, metteteci dentro un cubetto di ghiaccio e riempite il bicchiere con acqua fino all'orlo. Dopo un pò il cubetto si sarà completamente sciolto e l'acqua... sarà traboccata? Il livello cioè sarà salito? O forse sarà diminuito? O forse resterà invariato?

Avendo sentito le risposte più strampalate chiariamo la faccenda una volta per tutte! :)

Innanzitutto bisogna aver ben chiaro un fatto: poichè il ghiaccio ha una densità inferiore a quella dell'acqua liquida (a 0°C 0,9168 contro 0,9998, per questo galleggia) non tutto il blocchetto è immerso ma una parte, pari a meno di un decimo del volume totale, rimane al di fuori della superficie (si pensi per esempio agli iceberg, la cui parte emersa è "proverbialmente" molto minore di quella sommersa). Man mano che il ghiaccio del blocchetto si scioglie, il volume di acqua spostata diminuisce e conseguentemente, il livello dell'acqua nel bicchiere dovrebbe a sua volta abbassarsi. Tuttavia, ciò non avviene, poiché l'acqua del ghiaccio fuso va gradualmente ad aggiungersi all'acqua del bicchiere, facendo in modo che, nel complesso, il livello dell'acqua non diminuisca e non aumenti con il progressivo scioglimento del ghiaccio.

Il comportamento dell'acqua nel passare dallo stato liquido a quello solido è particolare, in natura: contrariamente ad altre sostanze, infatti, al diminuire della temperatura e precisamente poco prima del congelamento, (per l'acqua distillata, ciò avviene a 0°C) aumenta il proprio volume (e la densità diminuisce conseguentemente). Il comportamento anomalo ha luogo al di sotto dei 4 gradi C (temperatura alla quale l'acqua ha la sua massima densità, 1 g/cm3): al di sopra, con l'abbassarsi della temperatura, il volume diminuisce come negli altri liquidi.


Diversa disposizione delle molecole dell'acqua: (a) allo stato liquido; (b) allo stato solido, cioé ghiaccio.

Dalla figura si comprende benissimo che lo stesso numero di molecole d'acqua cristallizzate (ghiaccio) occupa uno spazio maggiore rispetto alla stessa quantità di molecole d'acqua liquida.

L'aumento di volume dell'acqua dopo il passaggio allo stato solido è pari a circa il 9 per cento del volume iniziale. La densità del ghiaccio è cioè pari al 91,7% di quella dell'acqua liquida.
Quindi, se facessimo ghiacciare un litro d'acqua liquida (1 dm3=1000 cm3) otterremmo un blocco di ghiaccio dal volume di circa 1087 cm3. Tale blocco potrebbe essere un parallelepipedo a base quadrata con lato di 10 cm e con altezza di cm 10,87. Se messo in acqua, tale blocco galleggerebbe emergendo dal livello dell'acqua per circa 9 millimetri.

Il fatto che una massa di ghiaccio galleggiante, sciogliendosi, non aumenti il livello del liquido nel quale è immersa è fondamentale nello studio delle possibili evoluzioni climatiche del nostro pianeta. Infatti, bisogna tenerne conto quando si cerca di stimare il sollevamento del livello medio del mare, causato dal riscaldamento globale (per effetto serra) e dal conseguente scioglimento dei ghiacci. Infatti, l'aumento del livello medio del mare, stimato in quasi un metro entro la fine del prossimo secolo, sarà imputabile allo scioglimento parziale dei ghiacci della Groenlandia e dell'Antartide (i quali poggiano su isole o continenti - ma soprattutto, si trovano al di fuori delle acque), mentre i ghiacci dell'artico, essendo già galleggianti (in effetti nel polo nord non esiste un continente come in Antartide, ma c'è solo un mare profondo quasi quattromila metri) non contribuiranno a questo aumento.

E per i più scettici ecco la dimostrazione matematica (fatta da me…spero sia chiara):




Un volume di giaccio V galleggia in acqua a 0o C. Calcolare il volume Vx della parte sommersa (il volume tratteggiato nel disegno) e il volume VY del ghiaccio dopo lo scioglimento.



Poiché il ghiaccio galleggia, la forza peso (P) è uguale alla spinta di Archimede (SA):


P = SA


Cioè:


V x dAcqua sol. = Vx x dAcqua liq.


Dove dAcqua sol. è la densità dell’ acqua solida e dAcqua liq. è la densità dell’acqua liquida.

Pertanto, girando l'equazione:

Vx = V x dAcqua sol. / dAcqua liq. = V x 0.917

E:

VY = massa / dAcqua liq. = (V x dAcqua sol.) / dAcqua liq. = V x 0.917

Quindi:

Vx = VY


c.v.d. :)


Stupido come un pollo...

Gli animali sono intelligenti? Le risposte sono molteplici e in alcuni casi contraddittorie, segno che il dibattito su quest'argomento dal sicuro fascino è sempre aperto sia tra gli studiosi che tra la gente comune.
Difficile muoversi in questo campo, ma sembra sempre più evidente che l'istinto non basta a spiegare i comportamenti degli animali che non parlano, ma hanno le loro parole, i loro attrezzi da lavoro e le loro strategie. Lo sostengono diversi studiosi ed in particolare Andrea Camperio Ciani, docente di etologia all'Università di Padova: "E' ormai accertato - ha detto in un'intervista - che la divisione tra gli uomini come esseri umani razionali da una parte e gli animali che ubbidiscono dall'altra, come robot, è del tutto falsa".
Intanto gli esperti hanno registrato diversi comportamenti curiosi degli animali: il corvo della Nuova Caledonia riesce a modificare semplici pezzi di legno e li usa a suo piacimento; Alex, un pappagallo africano, riesce ad eseguire operazioni che si pensava potessero esser fatte soltanto dagli umani, identificare più di 40 oggetti e sette colori, calcolare il numero di oggetti e dividerli in categorie; Red, un cane molto intelligente, ma al tempo stesso altruista. Le telecamere a circuito chiuso del canile in cui è ospitato hanno filmato la sua evasione. Dopo aver fatto un salto in cucina, per vedere se c'era qualcosa da mangiare, il cane è tornato indietro per aprire le porte ai suoi compagni.
Si potrebbe sostenere che sebbene gli animali possiedano emozioni, e non siano quindi degli automi, a noi è riservata l'esclusiva dell'intelligenza se quest'ultima viene intesa come capacità di generare pensieri astratti ed esprimerli mediante il linguaggio parlato combinando suoni secondo sequenze sintattiche.
Ma se definiamo l'intelligenza come capacità di utilizzare opportunisticamente ed in modo nuovo e creativo le informazioni sull'ambiente (nonché le proprie capacità per risolvere problemi imprevisti dalla quotidianità), allora troviamo esempi molto interessanti anche nel mondo animale:

La strana struttura...(ovvero: Voi siete qui!)

Le stelle sono organizzate in galassie, che a loro volta formano ammassi e superammassi, separati da vuoti!

Ma come sono disposti nell'Universo?

Prima del 1989 si pensava comunemente che i superammassi fossero le più grandi strutture esistenti nell'Universo, e che fossero distribuiti più o meno uniformemente in tutte le direzioni. Ma, nel 1989, Margaret Geller e John Huchra scoprirono la "Grande Muraglia", un muro di galassie lungo più di 500 milioni di anni luce e largo 200 milioni, ma spesso solo 15 milioni di anni luce. L'esistenza di questa struttura era rimasta inosservata così a lungo perché richiedeva di localizzare migliaia di galassie in tre dimensioni, cosa possibile solo combinando le coordinate celesti di ogni galassia con l'informazione di distanza derivata dallo spostamento verso il rosso.


Già su scale "piccole" lo stesso Sole si trova immerso in una porzione della Via Lattea (nel braccio di Orione) dove spicca una notevole disomogeneità di densensità!


Allontanadosi è possibile osservare il Gruppo Locale che comprende le galassie più vicine alla nostra.


I vari gruppi sono decisamente lontani gli uni dagli altri ma appaiono "accorpati" osservando una porzione più estesa di Universo: questoo è il Superammasso Locale o Superammasso della Vergine ( al centro il Gruppo Locale, a destra la scritta gialla indica il Gruppo della Vergine).

I Superammassi a loro volta sono enormemente lontani gli uni dagli altri ma ad un'adeguata scala di osservazione appaiono come nodi occasionali più densi all'interno di questa "strana struttra" dell'Universo costituita da giganteschi filamenti e immensi vuoti (vedi video)!

[fonte: wikipedia]

La natura del nucleare...

A vent'anni dalla catastrofe nucleare di Cernobyl, il più grande incubo degli ecologisti si è trasformato in un sogno per gli animalisti: la vita selvatica è tornata prepotente nell'ampia fascia di trenta chilometri attorno al reattore esploso, vietata agli esseri umani.
Il livello di radiazioni in alcuni punti è letale, fino a 3.500 microroentgen l'ora, contro una dose tollerabile fra i 15 e i 19: ma non sembra affatto disturbare i cinghiali, le alci, i caprioli, i lupi, le volpi, le lepri, financo le linci e forse qualche orso - se ne sono viste delle impronte - migrati lì da regioni anche lontane, per godersi la pace di una zona dove gli esseri umani sono solo un ricordo.

''Non hanno alcuna paura di noi - raccontano Aleksandr Kotz e Dmitri Steshen, due coraggiosi che hanno deciso di avventurarsi nella foresta contaminata - casomai è vero il contrario". Un cinghiale riposa tranquillo su una collinetta, in realtà uno dei circa 800 tumuli eretti su altrettante fattorie colpite in pieno dalla nube radioattiva, e "bonificate" con palate di terra: ma che ancora fanno impazzire l'ago dei contatori Geiger. All'avvicinarsi dei due uomini, si alza minaccioso: non recede di un passo, quegli strani esseri a due gambe non gli sembrano forti abbastanza per rappresentare un pericolo. E in effetti i due uomini fanno prudentemente marcia indietro.

''Chi vive vicino alla zona interdetta - dicono Kotz e Steshen - ci ha raccontato che alci e altri animali arrivavano qui fin dalla Bielorussia: sembrava quasi una migrazione consapevole''.
La strada fra la centrale e Pripiat, la città-dormitorio evacuata in tutta fretta dai suoi 50.000 abitanti subito dopo il disastro e ora sporadicamente pattugliata da non più di cinque poliziotti - non c'è nulla da rubare, tutto è troppo radioattivo anche per il più coraggioso dei ladri - viene continuamente attraversata da animali selvaggi. Ci sono persino due mandrie di cavalli: devono essere i discendenti della coppia di Przewalski che nel 1992 gli scienziati liberarono nella zona per esaminare gli effetti delle radiazioni. Kotz e Steshen ne contano una sessantina, prima che uno stallone, seccato dalle attenzioni rivolte alle sue giumente, non li cacci in malo modo.


Bracconieri a volte arrivano nella zona interdetta: ma cercano soltanto gli animali giovanissimi, gli adulti hanno carni e pelli troppo radioattive per essere appetibili. Se riesce a superare i tre anni di età, qualunque alce è al sicuro dai fucili dell'uomo, qualunque cinghiale può circolare indisturbato. O quasi: con le prede sono tornati i predatori classici. La notte è punteggiata dagli ululati dei lupi, le numerosissime cove degli uccelli - ci sono anche delle aquile - sono insidiate dalle volpi, le micidiali linci colpiscono veloci e inesorabili.

"Subito dopo l'esplosione del reattore - ricorda Serghei Gashkak, radiobiologo che da anni studia quella riserva naturale spontanea - anche gli animali subirono duramente le conseguenze della radioattività. Il bosco ha preso il nome di 'foresta rossa' perché quattro ettari di foresta si disseccarono sul colpo; nelle aree più contaminate trovammo i cadaveri di molte bestie, in molte specie la riproduzione venne bloccata, in un'isola a sei chilometri dalla centrale i cavalli morirono quasi tutti e altri animali ebbero gravi problemi alla tiroide. Ma già la generazione successiva sembrava sana".

Ci sarà pure il plutonio nell'area intorno a Cernobyl, ma non ci sono pesticidi, non ci sono fumi industriali, non c'è traffico, non si bonificano più le paludi: non ci sono uomini. ''Abbiamo eseguito alcuni esperimenti - spiega Gashkak - e abbiamo scoperto che la fauna più stanziale e quella che si sposta molto hanno diversi gradi di radioattività, più elevata nei primi: ma che non sembra infastidire gli uni e gli altri.
La cosa più curiosa però è che mentre i topi locali vivono benissimo, e altrettanto a lungo di quelli di zone non contaminate, se ne portiamo di 'stranieri' soffrono subito. La differenza con i locali è molto evidente''. Gashkak afferma di aver registrato moltissime mutazioni nel dna, ma che non sembrano avere conseguenze sulla fisiologia o sulla capacità di riprodursi: niente linci a due teste, insomma.

Meno convinti sono altri ricercatori: sottolineano che i mutanti muoiono presto e vengono divorati prima che gli scienziati possano osservarli, e che gli studi vengono condotti sui grandi insiemi più che sui singoli individui. Ma ammettono che i problemi derivati dalla catastrofe sembrano largamente compensati dall'assenza umana: ''Forse dovremmo buttare scorie radioattive anche in Amazzonia, per scoraggiare gli sfruttatori senza scrupoli", scherza qualcuno.
[Fonte: NEWTON]

Il nobile esercizio nella ricerca di unità e di rapporti matematici...

Con sezione aurea si indica, solitamente in arte e matematica, il rapporto fra due grandezze disuguali, di cui la maggiore è medio proporzionale tra la minore e la loro somma (a+b : a = a : b). Tale rapporto vale approssimativamente 1.618 (0.618).
Il numero esatto può essere espresso con la formula:



Si tratta ovviamente di un numero irrazionale; esso può essere approssimato, con crescente precisione, dai rapporti fra due termini successivi della successione di Fibonacci, a cui è intrinsecamente legato.

La sezione aurea fu studiata dai Pitagorici i quali scoprirono che il lato del decagono regolare inscritto in una circonferenza di raggio r è la sezione aurea del raggio e costruirono anche il pentagono regolare intrecciato o stellato, o stella a 5 punte che i Pitagorici chiamarono pentagramma e considerarono simbolo dell’armonia ed assunsero come loro segno di ricoscimento , ottenuto dal decagono regolare congiungendo un vertice si e uno no . A questa figura è stata attribuita per millenni à un’importanza misteriosa probabilmente per la sua proprietà di generare la sezione aurea , da cui è nata .

Infatti i suoi lati si intersecano sempre secondo la sezione aurea:



La Sezione Aurea, in quanto legge strutturale del corpo umano,ha conosciuto in Leonardo da Vinci (1452/1519) un geniale assertore , avendo collaborato con i suoi schizzi alla stesura del trattato "De Divina proportione" (Venezia,1509) di Luca Pacioli.

A partire dal Rinascimento la Sectio Aurea acquista il crisma della bellezza estetica. Secondo Luca Pacioli ed Albrecht Dürer , la SectioAurea o numero d'Oro, era elemento proporzionale analogico tra la figura umana e la natura oggettiva.

In campo filosofico, inoltre, l'Harmonia della Natura diviene causa e principio del mondo. Ci riferiamo agli scritti di G. Bruno " De la Causa, principio et Uno"(1584) oppure al "Mysterium magnum" ( 1623) di Jacob Böhme.

In botanica, fisica, zoologia, architettura, pittura e musica, oltre che in geometria in alcune relazioni riguardanti i poligoni regolari, la sezione aurea interviene in modo insistente. Essa, che non è altro che un semplice rapporto di numeri, si incontra ovunque, in natura, come nella scienza e nell'arte, e "contribuisce alla bellezza di tutto ciò che ci circonda."

L’equilibrio armonico che si percepisce nelle opere dell’arte classica e rinascimentale è il risultato di un’impostazione che si realizza in alcuni principi compositivi come l’utilizzo della sezione aurea. In realtà vari esperimenti suggeriscono che la percezione umana mostra una naturale preferenza per le proporzioni in accordo con la sezione aurea. Gli artisti, quindi, tenderebbero quasi inconsciamente a disporre gli elementi di una composizione in base a tali rapporti.

Alcuni esempi presi dalla Natura in cui l'elemento in comune è rappresentato dalla spirale logaritmica detta anche "spirale aurea":

Una galassia a spirale


La disposizione dei semi su un fiore


Le corna di muflone


Il broccolo romano (che è anche un frattale)


Foto satellitare di un uragano


Sezione di conchiglia di Nautilus, un cefalopode