La vera storia di Masaru Emoto...


Masaru Emoto è un sedicente scienziato giapponese che sostiene di aver scoperto che l'acqua memorizza ciò che le accade intorno. In pratica sostiene che facendo "ascoltare" musica e parole all'acqua, essa, una volta congelata, darebbe origine a cristalli di forma differente. Naturalmente la buona musica e le parole dolci originano cristalli belli e simmetrici. La musica brutta (evidentemente secondo i gusti di Emoto), quale la "Heavy Metal, e le parole "cattive" generano cristalli informi e disordinati.


Le teorie di Masaru Emoto sono semplicemente una fantasiosa variazione sul tema della memoria dell'acqua. Al pari di quest'ultima si tratta di una teoria priva di fondamento scientifico.E' significativo che Masaru Emoto abbia sempre rifiutato di sottoporre i suoi esperimenti a un controllo in doppio cieco. Nel 2003 la James Randi Educational Foundation ha lanciato a Masaru Emoto la famosa sfida del milione di dollari. Emoto non l'ha mai accettata.

Un dettagliato resoconto sul tema della memoria dell'acqua è il seguente (da "Realtà o illusione? Scienza, pseudoscienza e paranormale" Silvano Fuso (Edizioni Dedalo, Bari 1999), al paragrafo intitolato appunto "L'acqua con la memoria"):



L'acqua con la memoria

Il 30 giugno 1988, sulla prestigiosa rivista scientifica britannica Nature, comparve un articolo dal titolo "Human basophil degranulation triggered by very dilute antiserum against IgE".

L’articolo portava la firma di ben 13 autori (6 francesi, 3 israeliani, 2 canadesi e 2 italiani). Coordinatore del gruppo di ricerca era il biologo francese Jacques Benveniste, direttore dell’Unité 200 dell’Institut National de la Santé e de la Recherche Médicale (INSERM) di Parigi.

L’articolo riportava i risultati di uno studio effettuato su una particolare reazione biologica chiamata "degranulazione dei basofili". I basofili sono un particolare tipo di globuli bianchi, presenti in piccola percentuale nel sangue, che svolgono un ruolo importante nello sviluppo delle allergie. Quando i basofili vengono a contatto con anticorpi (prodotti dalla presenza di un allergene) essi liberano dai loro granuli intercellulari (da cui il nome di degranulazione) determinati mediatori chimici (la principale è l’istamina) responsabili delle manifestazioni allergiche.

L’articolo di Nature riportava i risultati di esperimenti in cui i basofili venivano posti a contatto con soluzioni, di diversa concentrazione, di particolari anticorpi (detti anti IgE, avvero anti immunoglobuline E).

Il risultato clamoroso riportato nell’articolo era il seguente: la reazione di degranulazione continuava a verificarsi anche quando la soluzione di anticorpi veniva fortemente diluita, fino a raggiungere una concentrazione di 10 -120 M (si legge dieci alla meno centoventesima molare).

Chi non ha dimestichezza con la chimica e la fisica non può rendersi conto del significato di un simile valore di concentrazione. Una breve spiegazione dovrebbe chiarire un po’ le cose.

In campo chimico la concentrazione di una soluzione viene spesso espressa in "molarità". Essa rappresenta il numero di moli di sostanza disciolta contenute in un litro di soluzione. La mole è una unità di misura chimica che corrisponde a un numero fisso di molecole, detto numero di Avogadro. Tale numero vale 6.02 · 1023 (il numero 1023 corrisponde a 1 seguito da 23 zeri, ovvero centomila miliardi di miliardi!). Potremo pertanto scrivere:

1 mole = 6.02 · 1023 molecole

In base a tale relazione, possiamo calcolare quante molecole di anticorpo sono contenute in un litro di soluzione di concentrazione 10 -120 M. Avremo:

10 -120 · 6.02 · 1023 = 6.02 · 10-97 molecole/litro

Questo numero è enormemente più piccolo di uno. Le molecole sono entità non frazionabili: se si frazionassero le molecole si distruggerebbe la sostanza. Di conseguenza una concentrazione pari a 6.02 · 10-97  molecole/litro implica che, per trovare una sola molecola di anticorpo, occorrerebbe considerare un volume d’acqua pari a:

1/(6.02 · 10-97 ) = 1.66 · 1096 litri

Per rendersi conto dell’enormità di tale valore, basti pensare che il volume d’acqua di tutti gli oceani è stimato nell’ordine di 1020 litri!.

Questi brevi calcoli portano a concludere che una soluzione di anticorpi di concentrazione 10 -120  M non è affatto una soluzione, ma semplicemente acqua pura.


Jacques Benveniste e i suoi collaboratori non erano evidentemente digiuni in fatto di chimica. Di conseguenza si erano perfettamente resi conto che nella "soluzione" di concentrazione pari a 10 -120  M, anticorpi non ce n’erano affatto.

Per spiegare il persistere della reazione di degranulazione da loro osservata a tali diluizioni, azzardarono allora un’ipotesi rivoluzionaria. Secondo la loro ipotesi la presenza degli anticorpi nella soluzione produrrebbe delle modificazioni nella struttura dell’acqua. Tali modificazioni strutturali permarrebbero nell’acqua anche quando, in seguito a ripetute diluizioni, ogni traccia di anticorpo venisse eliminata. In altre parole l’acqua manterrebbe una "memoria" delle sostanze che sono state preventivamente disciolte in essa, anche in seguito alla eliminazione di queste ultime per successive diluizioni. Tale ipotesi, se confermata, avrebbe rivoluzionato le conoscenze fisiche e chimiche.

Il contenuto dell’articolo di Benveniste e del suo gruppo era talmente clamoroso che la rivista Nature, prima di pubblicarlo, lo sottopose all’esame di numerosi "referees" (l’articolo arrivò a Nature il 24 agosto 1987 e venne accettato solo in data 13 giugno 1988). Alla fine accettò di pubblicarlo. Per non venir meno al proprio prestigio e serietà, tuttavia, Nature fece precedere l’articolo da un’introduzione dal titolo significativo "Quando credere all’incredibile" e aggiunse in coda all’articolo la seguente "riserva editoriale", che vale la pena riportare interamente:

I lettori di questo articolo devono essere informati della incredulità dei molti referees che hanno commentato le diverse versioni di esso, durante gli ultimi sette mesi. L’essenza del risultato è che una soluzione acquosa di un anticorpo mantiene la sua capacità di evocare una risposta biologica anche quando viene diluita a tal punto che vi sia una trascurabile probabilità di trovare una singola molecola in qualche campione. Non c’è nessuna base fisica per una tale attività. Con la gentile collaborazione del Prof. Benveniste, Nature ha pertanto predisposto indagini indipendenti per osservare la ripetibilità degli esperimenti. Un rapporto di tale indagine verrà pubblicato prossimamente.

Nonostante le riserve con cui Nature aveva pubblicato l’articolo, la notizia dell’"acqua con la memoria" si diffuse a macchia d’olio, superò ben presto il ristretto ambito scientifico e raggiunse il grosso pubblico.

Pochi giorni dopo la pubblicazione dell’articolo, verso i primi di luglio dell’88, sui quotidiani di tutto il mondo apparvero articoli sull’ acqua con la memoria. Anche i quotidiani italiani non mancarono all’ appello. Vennero addirittura pubblicate interviste a vari ricercatori che proponevano complesse teorie per interpretare il meccanismo secondo il quale l’acqua manterrebbe la sua memoria. Non mancarono, tuttavia, anche articoli critici di esponenti del mondo scientifico che esprimevano perplessità.

Un tale clamore al di fuori degli ambienti scientifici e il massiccio coinvolgimento dei mass-media doveva avere una causa. Come mai una notizia che apparentemente avrebbe dovuto interessare il ristretto gruppo dei ricercatori chimico-fisici fu così pubblicizzata presso il grosso pubblico?

La risposta è semplice. Se i risultati delle ricerche di Benveniste e del suo gruppo si fossero rivelati veri, essi avrebbero costituito la base teorica di una terapia alternativa alla medicina ufficiale, guardata con perplessità da quest’ultima, ma estremamente diffusa e di moda presso il grosso pubblico: l’omeopatia.

L’omeopatia venne introdotta verso il 1790 dal medico tedesco Christian Samuel Hahneman (1755-1843). Rifacendosi alle dottrine di Ippocrate (IV sec. a.C.) e di Paracelso (1493-1541), Hahneman ripropose il principio secondo il quale è possibile curare una malattia somministrando un estratto diluito della sostanza che è causa della malattia stessa: similia similibus curantur, ovvero il simile cura il simile (omeopatia deriva da homeo=simile e da pathos=malattia).

Questo principio non è mai stato dimostrato ma, a parte questo, ciò che lascia maggiormente perplessi nei confronti dell’omeopatia sono le diluizioni estreme con cui vengono preparati i farmaci omeopatici. Partendo da un certo principio attivo (generalmente di origine vegetale), lo si diluisce progressivamente di un fattore 10 (DH1) o 100 (CH1). Ogni diluizione è seguita da una accurata agitazione del prodotto. Nella omeopatia è comune raggiungere diluizioni con fattori DH30 (10-30) e CH30 (10-60).

Le obiezioni sono le stesse viste precedentemente a proposito delle soluzioni di anticorpi di Benveniste. Un farmaco omeopatico con fattore di diluizione CH30 (10-60) non contiene più alcun principio attivo, ma solamente acqua…fresca.

Dicevamo che l’omeopatia è di moda e il mercato dei farmaci omeopatici è fiorente. Da anni gli omeopati si battono affinché la loro disciplina venga riconosciuta dalla medicina ufficiale. Si capisce pertanto come mai l’articolo di Benveniste suscitò tanto clamore anche al di fuori dell’ambiente scientifico. Se l’acqua avesse effettivamente una memoria, le obiezioni nei confronti dell’omeopatia sarebbero confutate e tale disciplina avrebbe finalmente il tanto agognato riconoscimento scientifico.

Senza lasciarsi influenzare dal clamore suscitato, la redazione di Nature nominò una commissione di indagine che, come preannunciato, avrebbe dovuto verificare la riproducibilità degli esperimenti di Benveniste e collaboratori.

La commissione era composta da tre persone: John Maddox, direttore di Nature, Walter W. Steward, ricercatore dell’Istituto Americano della Sanità ed esperto in frodi scientifiche e James Randi. Quest’ultimo è un personaggio singolare. Illusionista di professione è divenuto celebre in tutto il mondo per le sue indagini nel campo del presunto paranormale (ha, ad esempio, smascherato il famoso paragnosta israeliano Uri Geller, come vedremo nel capitolo 10). Specializzatosi nello scoprire trucchi e inganni, i suoi meriti sono stati ampiamente riconosciuti dal mondo scientifico.

La commissione di Nature trascorse una settimana presso il laboratorio del Prof. Benveniste, a Parigi, immediatamente dopo la pubblicazione dell’articolo (il soggiorno iniziò il 4 luglio). Il resoconto del lavoro svolto e le conclusioni tratte vennero pubblicate dalla stessa Nature in data 28 luglio 1988 in un rapporto dal titolo significativo: "High-dilution experiments: a delusion".

La lettura del rapporto è piuttosto interessante e divertente. Innanzi tutto i membri della commissione vennero a conoscenza del fatto che due dei collaboratori di Benveniste erano stipendiati grazie a un contratto stipulato tra l’Institut National de la Santé e de le Recherche Médicale e la casa farmaceutica Boiron et C., specializzata in prodotti omeopatici. Era una scoperta sospetta, ma di per sé non determinante.

La commissione esaminò accuratamente gli appunti di laboratorio (messi a disposizione senza alcuna difficoltà da Benveniste) e cercò di ripetere gli esperimenti più significativi con procedure "a doppio cieco". I risultati di Benveniste non furono riprodotti. La commissione scoprì che negli esperimenti di Benveniste e collaboratori venivano considerati significativi soltanto quei risultati che confermavano le aspettative, mentre erano stati eliminati tutti quei risultati in disaccordo con esse. Tenendo conto di tutti i risultati (positivi e negativi) si otteneva un andamento in perfetto accordo con le previsioni statistiche. Di conseguenza non esisteva nessuna evidenza che dimostrasse la presunta memoria dell’acqua.

In coda al rapporto della commissione di indagine, Nature, nel numero del 28 luglio 1988, pubblicò la replica di Jacques Benveniste. In questa replica, Benveniste, fortemente irritato, accusò la commissione di dilettantismo. Criticò soprattutto la presenza di James Randi (specialista nello smascherare trucchi fraudolenti), che venne da Benveniste interpretata come una messa in discussione della propria onestà e correttezza deontologica. Egli usò parole grosse, paragonando l’inchiesta cui era stato sottoposto alla persecuzione delle streghe di Salem e al macarthysmo. Egli concluse la replica affermando:

Forse ci siamo sbagliati tutti in buona fede. Questo non è un crimine, ma scienza.

E rimandava la questione a ulteriori giudizi futuri.

Da tutta questa storia appare quasi con certezza che la buona fede di Benveniste fosse autentica. Egli può essere soltanto accusato di leggerezza, superficialità e ingenuità nell’accettare per buoni i risultati dei suoi collaboratori. Ma soprattutto Benveniste può essere accusato di non aver applicato la regola fondamentale, già ricordata, secondo la quale "affermazioni straordinarie richiedono prove altrettanto straordinarie". Non si possono fare con leggerezza affermazioni che sconvolgono l’intero scibile umano, senza preoccuparsi di trovare dati ed evidenze che confermino, al di là di ogni dubbio, tali affermazioni.

Con il suo consueto linguaggio colorito, James Randi, in fondo al rapporto della commissione, riportò il seguente esempio:

Se io affermo di avere una capra nel mio giardino, molti di voi non avrebbero difficoltà a credermi e potrebbero accontentarsi della testimonianza di un vicino. Ma se affermassi di avere un "unicorno" nel giardino, quanti si accontenterebbero di una semplice testimonianza di un vicino?
Abbiamo visto l’enorme clamore suscitato dai mass-media in occasione della pubblicazione dell’articolo di Benveniste. Ci si sarebbe aspettati un corrispondente clamore in seguito alla smentita delle sue affermazioni. Le cose purtroppo non andarono così. Andando a ricercare sugli stessi quotidiani che avevano pubblicizzato con grande enfasi la notizia originaria, nei giorni seguenti la pubblicazione del rapporto della commissione di Nature, chi scrive ha potuto trovare un solo breve articolo a due colonne (a firma di Francesco Barone) che riportava il resoconto dell’inchiesta. Addirittura in data 3 agosto 1988 (il rapporto della commissione è del 28 luglio) il supplemento TuttoScienze della Stampa pubblicava un articolo dal titolo "Acqua: la memoria chimica non è l’unica stranezza" (di Federico Bedarida) in cui la memoria dell’acqua veniva considerata con prudenza, ma senza tanta meraviglia, viste le numerose anomalie chimico-fisiche di questa sostanza così comune (solo una piccola nota del redattore informava che Nature aveva pubblicato un rapporto che confutava la tesi di Benveniste).

Questo comportamento dei mass-media è purtroppo abbastanza frequente: le notizie sensazionalistiche trovano spazi smisurati mentre le successive smentite vengono quasi ignorate o trovano, al più, spazi minimi. Questo accade in tutti i settori, ma in campo scientifico è un atteggiamento estremamente pericoloso e diseducativo. Visto che la maggior parte delle persone riceve le proprie informazioni scientifiche dai mass-media e non dalle fonti originali, è auspicabile che questi ultimi adottino una maggiore prudenza, serietà e competenza.

1 commento:

Unknown ha detto...

Esperimento della doppia fessura
https://www.youtube.com/watch?v=nqHDy8Y2ho4&t=150s

Esperimento di cimatica
https://www.youtube.com/watch?v=KurHB_fu_wE